Qualche giorno fa, avevo in programma di fare una bella passeggiata in centro per raggiungere a piedi il museo archeologico A. Salinas, fra le cui stanze ho trascorso la mia gioventù nutrendo gli occhi e l'anima delle meraviglie del passato.
Purtroppo la temperatura rovente mi ha costretto a cambiare itinerario e a rifugiarmi in un altro dei miei luoghi preferiti, una libreria. Gironzolando fra gli scaffali e perdendo la cognizione del tempo, mi sono imbattuta in questo libro di antropologia e l'ho acquistato, aggiungendolo alle mie già numerose letture di questa estate del 2021. Credo che non ci sia modo migliore di impiegare i giorni di pausa dal lavoro e che sia necessario trasferire questa attitudine anche agli studenti.
Pagina dopo pagina, mi sono addentrata nelle riflessioni dell'autore il quale ha trascorso parte della sua vita fra le genti delle tribù africane, studiandone gli usi, i costumi, i riti, le dinamiche sociali. Attraverso questa osservazione è riuscito, fra le tante altre cose, a circoscrivere l'origine antropologica del teatro in quello che lui definisce il "dramma sociale", un complesso di comportamenti umani che è comune agli uomini di tutte le culture e di tutte le epoche.
E, mentre leggevo, mi sono accorta che è proprio questo "dramma sociale", nato nell'interazione fra gli uomini, che la pandemia ci ha tolto. Spostando le relazioni dal campo reale a quello virtuale si è persa la facoltà di sbagliare e di essere poi reinseriti nel flusso delle dinamiche dei gruppi a cui apparteniamo.
Quello che mi auguro per l'imminente anno scolastico è che, nonostante le mascherine e il distanziamento, possiamo recuperare l'intima connessione fra gli animi e imparare a gestire in modo costruttivo gli sbagli a i conflitti.
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